Pappenhaim: un cavaliere, una spada

di Luca Cecchinato


La spada "alla Pappenheim" venne introdotta in Germania e nei Paesi Bassi attorno al 1620 e fu in gran voga per tutta la Guerra dei Trent'anni (1618-1648): quattro piedi di acciaio di Solingen, onnipresente spada dei dragoni di tutti gli eserciti della Vera Fede. E anche di tutti gli eserciti dell'eresia. Il nome fu attribuito dagli studiosi, una cinquantina d'anni fa, all'arma diffusa, pare, dai corazzieri del temerario generale della cavalleria cattolica Gottfried Heinrich Graf zu Pappenheim durante la Guerra dei Trent'Anni o, altrimenti, alla spada che egli indossa nell'incisione di Wenzel Hollar che lo rappresenta. Sebbene tale denominazione sia gratuita e non abbia altra autorità che quella della ‘fortuna', essa è certamente legata alla spiccata attitudine militare di molte di queste armi. In realtà ci appare più opportuno parlare di fornimenti più che di spade "alla Pappenheim", ché sopravvivono lame assai diverse montanti fornimenti simili. Le fonti dell'epoca indicano come si facesse una netta distinzione tra l'uso civile della striscia e quello militare della spada (da cavallo): alla spiccata attitudine ai colpi di punta delle strisce corrispondeva una maggior efficacia della spada nelle azioni di taglio. Tale differenza si riflette nelle dimensioni, nella forma, nel bilanciamento e, probabilmente, anche nella tempra delle armi: alla rigida striscia stretta ed allungata si contrappongono lame militari con sezioni più ampie e assai meno rastremate. Per i fornimenti, invece, si può osservare una maggior omogeneità tra ambito civile e militare, già a partire dalla metà del XVI secolo quando, i fornimenti delle spade militari presero ad adattarsi alle linee imposte dalle consorelle "da strada". Nell'ampia classificazione dei fornimenti di strisce e spadini presente in The Rapier and Small-Sword: 1460-1820, A.V.B. Norman, individua al numero 67 il fornimento "alla Pappenheim". Si tratta di una guardia a tre ponti frontalmente simmetrica con bracci rivolti in senso opposto nel piano della lama. Il ponte maggiore è collegato da uno o più raccordi a quello mediano riempito da una calotta messa a giorno da stelle e sforature. Ponte e calotta sono piegati verso il pomolo formando un angolo di circa 45° con il piano della lama. Il ponte maggiore è rinforzato da un puntone che lo collega al braccio posteriore ed al colmo è collegato alla lunetta di guardia da un raccordo. II fornimento Pappenheimer è datato 1630-1640. Al numero 66 è presentato un fornimento a doppia calotta praticamente indistinguibile dal precedente eccetto per l'assenza del ponte più piccolo; come nella Pappenheim la struttura viene rafforzata collegando tra loro i due ponti (in questo caso con due raccordi a "C") e rafforzando quello maggiore con un puntone di collegamento al braccio posteriore. L'impiego di piastre poste all'interno dei ponti non è certamente un carattere specifico della Pappenheimer che si può, anzi, considerare il frutto più maturo della famiglia delle guardie "a calotta". Iniziatasi a sviluppare tra la fine del 1500 ed i primi del nuovo secolo per aumentare la protezione della mano armata contro i sempre più frequenti colpi di punta, essa arrivò ad impiegare un sistema di tre ponti e una doppia piastra convessa che, pur estremamente protettivo, risulta anche assai pesante. Probabilmente l'estrema popolarità del fornimento "alla Pappenheim" con lame d'utilizzo militare più che con le strisce, è da ascrivere proprio a questa motivazione tecnica.

Nel gergo specialistico, si usano spesso in modo intercambiabile le espressioni "alla Pappenheim" o "alla vallona", che invece designano armi con fornimenti diversi e di epoca diversa. Le vallone sono spade da cavallo (ma ne esistono modelli più corti da fante) in uso, con poche varianti, dalla fine della guerra dei Trent'anni fino a buona parte del Settecento, prevalentemente nell'Europa centro-settentrionale, da Germania, Austria e Svizzera fino alla Scandinavia, ma anche in Francia. Il fornimento dei primi modelli (ad esempio il "modello 1679" francese), prevalentemente in ferro, è definito dalla guardia avente l'estremità superiore fissata al pomolo (con vite o uncino) e quella inferiore biforcata a formare una protezione simmetrica bivalve cuoriforme ortogonale alla lama dalla quale esce posteriormente il braccio di parata. Sui modelli seicenteschi fa la sua comparsa un anello per il pollice che permette di mantenere una presa corretta durante l'esecuzione di colpi di taglio con una spada priva di gavigliani. Tale soluzione non è, comunque, originale, visto che la si ritrova anche su armi precedenti come la spada a calotta utilizzata da Gustavo Adolfo alla battaglia di Lutzen (1632) conservata nel Livrustkammaren (inv. N° 1946). Se, dunque, è errato confondere vallona e Pappenheimer, tra le due armi sono riscontrabili alcune importanti somiglianze sia in termini funzionali, le vallone come molte Pappenheimer sono spade da cavallo, sia di provenienza geografica, ambito fiammingo-germanico, che di fornimento, bivalve e con bracci piegati in senso opposto. Ci appare plausibile che, semplificandosi, rimangano vestigia del fornimento della Pappenheimer nelle successive spade "alla vallona". Tale processo di trasformazione probabilmente derivò dalla necessità di ridurre i costi di produzione dei fornimenti creando un'arma che, pur rimanendo semplice, riuscisse a garantire un'adeguata protezione alla mano.

Ma chi era Gottfried Heinrich Conte di Pappenheim? Generale della cavalleria imperiale, egli nacque il 29 maggio del 1595 nella piccola città di Pappenheim, in Baviera, sede della libera signoria da cui la sua antica famiglia prendeva il nome. Fu educato ad Altdorf e a Tübingen e, successivamente, viaggiò in Europa centrale e meridionale apprendendo diverse lingue, perennemente in cerca di avventura. La permanenza in questi paesi, lo portò ad abbracciare la fede Cattolica (1614) a cui restò devoto fino alla morte. Allo scoppio della Guerra dei Trent'anni, decise di abbandonare la carriera legale e diplomatica che aveva intrapreso e, in virtù del suo zelo cattolico, di prendere servizio in Polonia, prima, e sotto la bandiera della Lega Cattolica, poi. Divenne ben presto ufficiale di uno squadrone di cavalleria e si distinse per l'estremo coraggio durante la battaglia della Montagna Bianca (8 novembre 1620) dove venne lasciato per morto sul campo. L'anno successivo combatté contro Mansfeld nella Germania occidentale e nel 1623 venne posto al comando di un reggimento di corazzieri, noti poi come i Pappenheimers. Nello stesso anno, come ardente alleato della Spagna, baluardo della fede ed amica del suo signore, il duca di Baviera, reclutò truppe per combattere in Italia e servì sotto gli Spagnoli in Lombardia, Valtellina e nei Grigioni. La sua strenua ed eroica resistenza della posizione a Riva del Garda ne mise, per la prima volta, in estrema evidenza le capacità militari. Nel 1626, il duca di Baviera Massimiliano I, capo della Lega Cattolica, lo richiamò in Germania e, dopo aver soppresso alcuni movimenti insurrezionali nell'alta Austria, servì sotto il Tilly contro Cristiano IV di Danimarca. Condusse con successo l'assedio di Wolfenbüttel, ma le sue speranze di ottenere la sovranità ed i possedimenti del principe sconfitto rimasero deluse.
Nel 1628 fu creato Conte dell'Impero. Nel 1631, l'armata della Lega guidata da Tilly e da Pappenheim assediò e prese Magdeburgo (20 maggio 1631). Il saccheggio che ne seguì è ricordato come la peggior atrocità di quella terribile guerra. Cose orrende, che riempiono di indignazione gli stessi cattolici, accaddero durante il sacco, la città fu incendiata e distrutta e i suoi abitanti massacrati all'infuori di poche migliaia; si stimano 24,000 vittime tra uomini, donne e bambini. E poi donne inchiodate alle panche delle chiese luterane e fatte ardere con esse; patrizie trascinate alla coda dei cavalli e fatte morire fra strazi senza nome; bambini scagliati nelle fiamme. Pappenheim viene accomunato al Tilly nell'accusa di aver ordinato questo atroce scempio ma è noto come egli, ancora scontento dopo l'episodio di Wolfenbüttel, desiderasse la sovranità sulla città di Magdeburgo; appare dunque strano che egli abbia deliberatamente ordinato la completa distruzione di una possibile fonte di ricchezza e potere. Infine, sebbene i resoconti coevi attestino spesso le atrocità compiute a Magdeburgo, essa non fu certo l'unica città ad essere trascinata via dalla tempesta di quel secolo di ferro.
La condotta militare del Pappenheim fu sempre eccellente, caratterizzata da una elevata comprensione tattica ma soprattutto da uno spirito bellicoso e spietato unito ad un manifesto valore personale. Ma l'impetuosità, che lo spingeva a guidare personalmente le grandi cariche di cavalleria, lo fece cadere di fronte a Gustavo Adolfo, Re di Svezia, durante la battaglia di Breitenfeld (17 settembre 1631), che egli stesso aveva cercato. Schierato sull'ala sinistra, sotto il fuoco dell'artiglieria reggimentale nemica, Pappenheim perse rapidamente la pazienza e, senza aver ricevuto alcun ordine dal Tilly, ordinò l'attacco dei suoi 5500 corazzieri contro l'ala destra svedese formata da 5000 cavalieri. La cavalleria pesante della Lega Cattolica, divisa in squadroni di 200-300 uomini disposti su 6-12 ranghi era formata, in gran parte, da pistoleri (reiter) che, armati di spada e due pistole e protetti da armatura completa a coda d'aragosta, attaccavano con la tattica del caracollo. Essa prendeva il nome dalle circonvoluzioni del guscio della lumaca (in spagnolo caracol) e consisteva nel portarsi al trotto a tiro della prima fila nemica (10-15 m), scaricare le pistole e volgere subito il cavallo per portarsi sul retro della formazione e ricaricare, mentre il fuoco era mantenuto dai ranghi che via via si avvicendavano. Questa tattica doveva disorganizzare le fanterie avversarie prima dell'attacco all'arma bianca ma, in realtà, non si dimostrò mai molto efficace sia per la ridotta portata e precisione della pistola, sia per la grande organizzazione che essa richiedeva. La cavalleria svedese addestrata da Gustavo Adolfo si presentava rinnovata rispetto alla sua controparte cattolica; il sovrano aveva potuto valutare di persona l'efficacia della cavalleria polacca, che non aveva mai abbandonato la tradizione della carica, anche dopo che la picca e l'archibugio avevano consigliato la più prudente tattica del caracollo. Egli rivalutò l'importanza dell'urto di cavalleria e comprese che le cavallerie moderne erano fatte per combattere altre cavallerie o formazioni di fanti già disorganizzate. Divisa in squadroni di 200-400 uomini disposti su tre ranghi, la cavalleria svedese privilegiava l'impatto, lo choc: niente più lento e macchinoso caracollo, ma un attacco portato a fondo prima al trotto (a 50-60 m) e poi al galoppo (a 10-15 m) con spade o squadroni sguainati mentre i primi ranghi scaricavano le pistole a distanza ravvicinata (3-4 metri).

Inoltre per ridarle una certa potenza di fuoco, la cavalleria di Gustavo Adolfo era appoggiata da contingenti di moschettieri, intervallati tra i ranghi, che la seguivano fin quasi alla carica finale per prepararne l'azione e coprire il ripiegamento ed il riordinamento degli squadroni in caso di insuccesso. Armato in maniera classica (due pistole e la spada), il cavaliere svedese era, per ragioni finanziarie, scarsamente protetto se confrontato con il corazziere tedesco: nel migliore dei casi aveva un elmo aperto ed un corpetto di piastra a proteggere petto e schiena. I reggimenti migliori erano probabilmente quelli dei corazzieri di Livonia e Curlandia, equipaggiati in modo sostanzialmente analogo a quelli tedeschi. Il nuovo sistema svedese si rivelò subito vincente. Gli squadroni cattolici attaccarono al trotto e scaricarono le pistole contro l'ala destra svedese ma, dopo che la prima fila di corazzieri aveva fatto fuoco, i moschettieri svedesi spararono all'unisono, arrestando il caracollo avversario. Il successivo fuoco di pistole e la controcarica della cavalleria svedese costrinsero l'allibito Pappenheim a ripiegare. Il generale imperiale non era uomo da demordere così facilmente: per ben sette volte i suoi corazzieri tornarono all'attacco, ma sempre senza risultato. L'ala destra svedese non cedeva e rispondeva al fuoco falciando i cavalieri nemici. Tra le quattro e le cinque del pomeriggio si consumò l'ecatombe dell'esercito imperiale. Gustavo Adolfo ordinò a tre reparti freschi di cavalleria della sua ala destra di attaccare i provati corazzieri della Lega, che cedettero di schianto nonostante, in questi ultimi scontri, Pappenheim si battesse valorosamente uccidendo 14 uomini. Nelle ore seguenti, pur ferito e con pochi uomini a disposizione, egli riuscì ad assicurare la ritirata delle fanterie imperiali sconfitte di Tilly; ma da quel momento Gustavo Adolfo divenne la sua personale ossessione, il sovrano svedese si era procurato un mortale nemico. Riformato un nuovo piccolo corpo di cavalleria, il Conte ottenne molta gloria con le operazioni nella zona del basso Reno rallentando le truppe fresche di rinforzo al trionfante esercito svedese che avanzava verso Monaco. Le operazioni del Pappenheim coprivano un'ampia zona e la sua incessante attività dominava il territorio tra Stade e Cassel, e da Hildesheim fino a Maastricht. Essendo stato nominato generale imperiale, fu chiamato ad unirsi al Wallenstein ed ad assisterlo nella sua azione contro gli Svedesi in Sassonia; ma, dopo poco tempo, fu nuovamente assegnato alla zona di Colonia e del basso Reno.
Ma una grande battaglia era imminente e Pappenheim fu richiamato d'urgenza da Wallenstein. Nel pomeriggio nebbioso del 16 novembre 1632 egli apparve con le sue truppe fresche nel mezzo della battaglia di Lützen. Impaziente di combattere, l'irruento generale lanciò immediatamente alla carica i dragoni ed i corazzieri contro l'ala destra degli Svedesi che, già provati da numerose ore di combattimento, presero a ritirarsi.
La selvaggia carica di cavalleria in mezzo alla fitta nebbia dovette essere di una estrema cruenza con terribili perdite su entrambi i fronti, ma Gottfried Heinrich Conte di Pappenheim era vicino a schiantare il fianco destro svedese e a vincere la giornata per gli imperiali. E come Rupert a Marston Moor cercò il suo peggior nemico Cromwell, così Pappenheim inseguì gli Svedesi nel mezzo della mischia alla ricerca di Gustavo Adolfo, che bruciava dal desiderio di affrontare in duello. Egli guidò l'assalto selvaggio dei suoi corazzieri, appoggiati da schiere di picchieri e moschettieri, contro le brigate e la cavalleria nemica: ondata dopo ondata, gli imperiali attaccarono gli svedesi. Fu a quel punto che cadde, colpito dalla mitraglia di un cannone reggimentale e il pettorale perforato da due palle di moschetto. Mentre veniva trasportato lontano dal campo di battaglia dai suoi soldati, qualcuno gli sussurrò all'orecchio che l'uomo che cercava giaceva morto sul campo. "Il suo occhio morente", narra lo Schiller, "sfavillò di gioia". "Dite al Duca di Friedland", disse Pappenheimer, "che sono spacciato, ma che muoio felice, sapendo che il nemico implacabile della mia fede è caduto lo stesso giorno". Egli morì il giorno successivo nel Pleissenburg di Lipsia con ancora in tasca la lettera insanguinata (oggi visibile al Museo della Guerra di Vienna) che lo richiamava a marce forzate a Lützen, era il 17 Novembre 1632.



Bibliografia

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  16. Les Armées d'Europe entre 1550 et 1650


Accademia Romana d'Armi | Pubblicato il 17/12/2002 a Roma
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